Dopo il fallimento dell’iniziale obiettivo di capovolgere il governo di Kiev e fare dell’Ucraina uno stato succube, soggiogato come la Bielorussia, dunque “estendere” i propri confini di sicurezza dai Paesi europei, adesso è ben chiaro che il piano di ripiego di Mosca sia quello di sottrarre agli ucraini l’importante porto di Mariupol e magari puntare a raggiungere Odessa per togliere all’Ucraina l’affaccio al mar e avere così il controllo completo del Mare d’Azov e del Mar Nero.
Lo analizza bene l’ammiraglio Nicola De Felice, già comandante di Marisicilia, in questa intervista che spazia sulla situazione anche nei nostri mari.
Ammiraglio, partiamo dalla situazione operativa attuale, dove sono le navi russe?
“Oltre 45 navi da guerra della flotta del Mar Nero e delle altre flotte russe sono ora presenti nelle basi di Sebastopoli e Novorossijsk. Il comandante della flotta del Mar Nero è l’ammiraglio kazako Igor Osipov, supervisore delle strategie di attacco dal mare, anch’egli inserito nell’elenco dei sanzionati dall’Ue in quanto ritenuto responsabile delle minacce alla sovranità ucraina. La missione speciale russa coinvolge fregate, corvette, navi missilistiche, navi da sbarco, cacciatorpediniere, sommergibili e navi per contromisure. Le formazioni navali, le unità da sbarco – le equivalenti alla nostra fanteria di Marina Brigata San Marco – e l’aviazione navale effettuano azioni di artiglieria, attacchi missilistici e lanci di bombe su bersagli marittimi e costieri. Oltre agli attacchi sul territorio conteso, altro obiettivo russo è la difesa della costa della Crimea, le basi e i porti in territorio russo nonché le varie infrastrutture sensibili e le aree di attività economica marittima da eventuali contrattacchi ucraini. Il 24 marzo scorso sono state colpite tre navi da sbarco russe nel porto di Berdyansk, 80 chilometri a sud ovest di Mariupol, sul Mare d’Azov. Una è affondata davanti al molo, due hanno preso il largo nonostante i danni a bordo. Si ritiene che gli ucraini abbiano usato uno o più missili balistici tattici a corto raggio Tohcka, con una portata di circa 200 chilometri. La nave affondata è la Saratov. Si ipotizza che stesse scaricando munizioni per la colonna dei fanti di marina sbarcati nello stesso porto alcuni giorni fa. La Kunikov è uscita dallo scalo con un grande incendio a prua. Si tratta di un’unità della classe Ropucha, può scaricare sulla spiaggia 10 tank e 340 fanti di marina. La terza sarebbe la Novocherkassk, della stessa classe, che mostrava fumo provenire dai ponti inferiori. Berdyansk era la principale struttura militare di Kiev nel Mare di Azov, ora occupata dai russi”.
Le forze navali russe sono presenti anche nel Mar Mediterraneo?
“Un gruppo navale russo costituito da 4 unità, scortato da un sommergibile diesel-elettrico classe Kilo è in continua navigazione nel Mar Libico, a sud di Creta mentre un secondo gruppo di 6 unità, scortato da un altro sommergibile della stessa classe, pendola tra Cipro e la Siria. Il primo gruppo fa normalmente scalo a Tobruk, in Cirenaica, secondo porto in Libia dopo Tripoli, ma anche a Bengasi. L’aviazione russa si appoggia sugli aeroporti militari non lontani dal mare come Benina ed El Adem, entrambi costruiti dalla nostra Regia Aeronautica durante il periodo coloniale italiano. Il secondo gruppo navale ha come riferimento i porti di Tartus e Latakia in Siria, con relativo aeroporto militare di Khmeimim, gestito ufficialmente dai russi e recentemente ristrutturato con una seconda pista di atterraggio, nuovi hangar anti-droni e un sistema di alimentazione per accelerare il rifornimento di carburante. I piloti russi hanno a disposizione 30 velivoli composti da Su-35S, Su-34 e Su-24 ed elicotteri Mi-35 e Mi-8AMTSh. Sono presenti anche 3 bombardieri strategici Tu-22M3 Backfire, predisposti per trasporto e lancio di missili ipersonici Khinzal e ordigni nucleari”.
E la Marina ucraina che fine ha fatto?
“Nata nel 1992 dopo l’ammutinamento del pattugliatore SKR-112 che alzò a riva la bandiera giallo blu, la Marina ucraina era composta da 11 navi da guerra – corvette, pattugliatori e dragamine alquanto obsoleti – 10 mezzi aerei (tra i quali alcuni micidiali droni turchi Baykar TB 2), una ventina di navi logistiche. Dopo l’invasione russa della Crimea la flotta si era trasferita a Odessa. Con lo scoppio della guerra le navi sono rimaste inattive in porto e la nave ammiraglia Hetman Sahaidachny (una fregata ex russa classe Krivak III), già in fase di riparazione nei cantieri navali di Mykolaiv, è stata volontariamente allagata dal comandante per evitare di cadere nelle mani del nemico”.
Che strategia ha assunto la NATO nel Mediterraneo?
“Da annoverare subito la marginalizzazione del cosiddetto “fianco sud” della NATO. Tale marginalizzazione è da imputare al minore impegno diretto da parte egli USA per le tematiche della regione ed anche all’assenza di una “lobby mediterranea” in seno alla NATO stessa. Per contro, sono evidenti le divergenti politiche dei membri mediterranei dell’Ue e della NATO come Italia, Francia, Spagna e Grecia riguardanti gli sviluppi geopolitici dell’area. Ognuno di questi non solo persegue individualmente i propri interessi nazionali – l’Italia in misura minore per evidenti limiti politici attuali – allo scopo di accrescere la propria sfera d’influenza, stipulando accordi “fratricidi” che non vanno certo nella direzione di un quanto mai necessario approccio comune. La Grecia, spalleggiata dagli USA, per contrastare la politica turca di espansione nel Mediterraneo orientale – peraltro giustificata dagli USA stessi in funzione antirussa – ha stipulato un importante accordo con la Francia per la fornitura di fregate FREMM e aerei Rafale. La Spagna ha siglato un accordo di cooperazione militare con la Turchia per bilanciare la crescente influenza francese e la Germania fornisce sottomarini alla Turchia alla ricerca di una posizione nell’area. Per non parlare, poi, della questione libica dove Italia e Francia sono sempre state su fronti opposti. Non c’è dunque da stupirsi se il ruolo della NATO in questo scenario sia stato limitato all’adempimento di compiti meramente secondari. L’Italia è un partner molto importante per gli Stati Uniti; tuttavia, non è detto che questo porti a un maggiore potere di Roma su alcuni dossier che la coinvolgono direttamente – leggi Libia – quanto, semmai, a una maggiore richiesta di chiarezza da parte degli americani. L’Italia si è dimostrata troppo tentennante sul fronte cinese, non piace per i rapporti con la Russia, e sul fronte libico le sue capacità operative sono state offuscate dalla Francia, poi dal coinvolgimento diretto di Russia e Turchia, che hanno di fatto estromesso l’Europa dal conflitto. La possibile scelta di Biden di dare un peso maggiore all’Ue potrebbe essere un’arma a doppio taglio. L’Italia è considerata fondamentale nello scacchiere mediterraneo, ma a Biden interessa soprattutto frenare la Russia a est così come la Cina. Per stabilizzare la Libia, gli Usa parlano di un ruolo dell’Europa: ma è a tutti evidente che l’Ue non è guidata dall’Italia, quanto da Francia e Germania. L’Italia rischia dunque di rimanere ferma al palo, in attesa di nuove direttive su cosa fare e come poter riabilitarsi agli occhi USA. Se il dossier Libia e Mediterraneo orientale passa all’Ue, Roma di fatto verrebbe tagliata fuori”.
La vera causa della guerra in Ucraina è il controllo russo del Mar Nero e il possesso completo del Mare d’Azov?
“Si. Con la guerra in Ucraina è tornata alla ribalta l’importanza geopolitica, militare e strategica del Mar Nero e degli stretti dei Dardanelli. Con la Turchia, la Bulgaria e la Romania – appartenenti alla NATO – che si affacciano sul Mar Nero insieme alla Russia, all’Ucraina ed alla Georgia, è facile comprendere come quel mare non può che essere oggetto di potenziali pericolosi contenziosi tra la Russia e la NATO stessa. Le manovre sul campo vanno lette secondo questa prospettiva: per la Russia il Mar Nero è indispensabile poiché è il passaggio obbligato non solo verso il Mediterraneo, ma anche verso l’Atlantico e l’Indo-pacifico. È attraverso il Mar Nero che Mosca può raggiungere linee di comunicazione marittime strategiche che altrimenti le sarebbero – de facto – precluse. Il traffico di navi in quegli stretti è di 55 mila unità all’anno, quattro volte di più dei canali di Suez e di Panama. Il Bosforo costituisce la principale rotta per il trasporto di petrolio dal Caucaso ai Paesi dell’Europa e dell’Asia. Il 65% dell’export russo passa attraverso il Bosforo e, oltre al petrolio, passa anche il grano che dai mercati di Russia, Ucraina e Kazakistan copre il 25% del fabbisogno mondiale. Inoltre, ghisa e semilavorati siderurgici passano dal Mar Nero per il 10% del fabbisogno europeo e l’Italia oggi ne soffre la carenza. Strategicamente parlando, per la Russia è più importante il possesso della base navale di Odessa, di Mariupol e dei cantieri navali della costa come Mykolaiv piuttosto che di Kiev”.
E’ per questo che i russi stringono la morsa su Mariupol e allentano quella su Kiev?
“L’annessione della Crimea e ora dell’intero Mare di Azov – considerato storicamente dai russi una baia interna del loro territorio, di conseguenza non applicabile il diritto internazionale marittimo – e delle sue città costiere rientra in un chiaro progetto strategico della Russia putiniana che la guida, con il controllo del Mar Nero e attraverso la Siria, sino al Mar Mediterraneo. Il mare d’Azov rappresenta il delta sommerso del fiume Don, che vi affluisce unitamente al fiume Kuban. Esso è un punto di sbocco cruciale per i trasporti commerciali e militari della Russia: attraverso il canale navigabile Lenin-Volga-Don si accede al mar Caspio e si mettono in comunicazione le vie d’acqua della Russia europea, che consente di navigare sino a Mosca, al Mar Baltico ed al Mar Bianco. La Russia cessa quindi di essere locataria in Ucraina e diviene proprietaria di importanti cantieri e basi navali sulla costa. Quanto allo stretto di Kerch, va sottolineato che esso rappresenta un vero e proprio choke point (al pari di Panama, Suez, dei Dardanelli e di Hormuz), tale in quanto di importanza vitale per la Russia e collega il suo sterminato entroterra al Mar Nero. Lo stretto ed il mare d’Azov erano questioni aperte nei rapporti Russia – Ucraina, che già nel 1995 avevano avviato dei negoziati in verità mai conclusi. Stante l’attuale regime di occupazione delle città portuali ucraine, il Mar di Azov è in ogni caso inaccessibile al traffico estero perché sotto completo controllo russo.
Per l’Italia, dunque, lo svago è finito?
“L’Italia si deve allarmare sulle conseguenze del conflitto che, con la Russia vincente, condizionerebbe gli equilibri geostrategici nel Mediterraneo con la presenza di una forte ed agguerrita potenza mondiale sull’uscio di casa nostra, come se non bastasse la scomoda presenza turca. Alla Russia, impegnata geopoliticamente nel Sahel, in Libia, in Algeria, in Egitto ed in Siria, nel corno d’Africa, serve il libero passaggio nel Mediterraneo ed il mantenimento in Siria ed in Libia di importanti basi aeronavali. La flotta russa è ora la più agguerrita e numerosa nel Mar Nero e ipotetiche intese con la Turchia sono prevedibili così come già fatto in Siria e in Libia, a scapito di un’Italia senza una strategia di sicurezza se non quella di illudersi di avere l’appoggio dell’Ue come nel caso della gestione del flusso migratorio clandestino, cioè nulla. L’interesse degli USA per la Grecia che ha autorizzato una spesa per la Difesa del 2.8 del PIL dovrebbe far capire verso quale pericolo stiamo incombendo. La maniera di contrastare l’ascesa russa nel Mediterraneo richiederà un sistema di sicurezza europea all’altezza di un’accresciuta complessità del versante meridionale, ma a sud gli italiani rischiano di essere soli o di scomparire dallo scacchiere geopolitico regionale. La necessità di istituire la “lobby del Mediterraneo” è quanto mai impellente. L’Italia, quinto paese contributore della NATO, terzo contributore in Ue, ha un ruolo fondamentale da giocare, soprattutto nel pretendere che la narrativa delle alleanze relative alla direzione strategica meridionale cambi decisamente tono, preparando il terreno per una inevitabile riallocazione delle attenzioni e delle risorse da destinare verso il fronte sud”.
Ammiraglio, come vede la fine della guerra in Ucraina?
“Vedo la pace in quelle terre martoriate solo quando la Russia avrà raggiunto i suoi vitali obiettivi: attestata permanentemente nel Donbass, sulle coste del Mar di Azov completamente nelle mani russe, ivi comprese le principali città come Melitopol, Berdiansk, Mariupol, e verso Odessa (che credo rimarrà ucraina), con il controllo dei principali porti e cantieri navali della costa negli oblast di Mykolaiv, Cherson, Zaporizija, Kryvij e a nord con l’oblast di Sumy, ivi compresa Charkiv. In sostanza una nuova realtà geografica e politica ad est del fiume Dniepr separata dalla parte a ovest che rimane sotto il controllo di Kiev”.
In che modo allora l’Italia dovrebbe indirizzare la spesa aumentata per la Difesa?
“L’Italia deve approfittare di questa disponibilità finanziaria per sviluppare un sistema della Difesa basato su un’organizzazione che raccordi effettivamente il livello politico con quello strategico-militare al fine di conseguire una capacità decisionale adeguata ai tempi e decisamente superiore alle attuali condizioni. Sia avviata un’integrazione capacitiva con gli alleati europei e con la NATO con un impiego delle forze più interoperabile, in grado di rispondere ed affrontare le future sfide. Risulta indispensabile e non delegabile mantenere autonome ed efficaci capacità che permettano all’Italia di detenere una superiorità proporzionata alla necessità di tutelare gli interessi nazionali. Siano aumentate le capacità militari capaci di garantire la necessaria deterrenza e dissuasione nel contesto nel Mediterraneo, in Atlantico e nell’Oceano Indiano in grado di intervenire rapidamente e con limitati tempi di preavviso. I domìni economico-commerciali di interesse dell’Italia impongono peraltro la necessità di adeguare le leggi relative al mondo cibernetico: nel particolare, si approvi una legge che permetta la condotta di operazioni militari nell’ambiente cibernetico. L’autorità politica si assumi la responsabilità di indicare le priorità e le linee guida per le risorse umane e finanziarie in coerenza con l’evoluzione ed i rischi emergenti, derivanti dalla presenza nel Mediterraneo di nuovi importanti attori potenzialmente in attrito con la tutela degli interessi nazionali, dalle connessioni dei flussi migratori clandestini con le organizzazioni criminali e terroristiche, dai conflitti interetnici, dalla proliferazione delle armi di distruzione di massa e, più in generale, dalla carenza di governance del sistema internazionale. Si formi una mentalità che, attraverso l’educazione, l’addestramento, la coesione e la motivazione del personale, agisca da fattore moltiplicatore nell’impiego delle capacità, anche con un intelligente sblocco del turn over ed una rinnovata funzione sociale, a beneficio del mondo del lavoro e dell’occupazione giovanile. Si sviluppi un sistema in un’ottica di coinvolgimento di tutte le articolazioni dello Stato, dell’Industria e delle altre componenti della società nella funzione difesa e sicurezza. Con la consapevolezza che sia necessario tenere sotto controllo la spesa pubblica, l’autorità politica deve bilanciare le risorse per lo sviluppo di nuove capacità, nell’addestramento e nella manutenzione dello strumento militare. Le disponibilità finanziarie devono essere congrue con il livello di ambizione individuato, certe ed il più possibile costanti nel tempo”.
Ammiraglio, per concludere, quale strategia marittima serve all’Italia?
“La finalità della geopolitica è il coordinamento delle azioni politiche nello spazio che circonda uno Stato. Per noi Italiani lo spazio prevalente è il mare e le questioni che più condizionano la nostra strategia di sicurezza sono vincolate da tutto ciò che il mare offre, nel bene e nel male. Prima in Europa per merci importate via mare, l’Italia dispone della X flotta mercantile del mondo e della III flotta peschereccia europea, importando via mare l’80% del combustibile necessario al suo fabbisogno. Il comparto marittimo genera il 3% del PIL e l’industria correlata è uno dei settori più redditizi sul quale investire, sia al Nord che al Sud. Eppure, per tutelare tutto ciò, propedeutico al benessere del popolo, abbiamo una Marina cenerentola tra le Forze Armate, sia in termini di personale sia di spesa. Il ritorno agguerrito di potenze navali come la Russia e la Turchia sulla sponda sud ed est del “Mare Nostrum” sono sotto gli occhi di tutti. Per rilanciare una strategia di sicurezza occorre comprendere che le forze marittime sono uno strumento della politica da impiegare per il conseguimento di definiti obiettivi di interesse nazionale. Per tutelare questi interessi, la Marina Militare dovrebbe disporre di almeno 40.000 marinai, 100 navi e 25 sommergibili con capacità di attacco a terra, di un’efficace aviazione navale (non serve a nulla avere portaerei senza aerei), disporre di efficaci forze da sbarco e di rinvigorite forze speciali. Le forze marittime devono essere capaci di muovere rapidamente dai porti e schierarsi in teatro operativo, per lunghi periodi di tempo. La capacità di autosostentamento deve permettere alle navi di svolgere attività senza l’aiuto da terra. Tale peculiarità, intesa come capacità permanente di influire sulla condotta delle attività a terra con azioni di fuoco e di sostegno logistico, è intrinsecamente connessa alla versatilità strategica richiesta ad una qualsiasi Marina seria. Le forze marittime si spostano in prossimità di un’area di crisi senza violare le norme del diritto internazionale, impiegate in un ruolo di diplomazia navale, a tutela degli interessi della Nazione, contribuendo ad una politica di “moral suasion” attraverso un’adeguata opera di deterrenza e dissuasione, fino ad un appropriato e selettivo uso della forza. Esse devono essere capaci di operare in sostegno di popolazioni amiche e alleate, per l’esfiltrazione di cittadini in territorio ostile. Dopo il raddoppio del Canale di Suez e la corsa agli armamenti di Egitto, Algeria e Turchia, la presenza di un’agguerrita Russia determinata a giocare una parte importante nel Mediterraneo e la mancanza di una seria politica comune con gli altri Stati europei, è fondamentale assolvere il ruolo di tutela delle linee di traffico marittimo, di legalità in alto mare, di garanzia di interdizione del commercio illegale, di embargo o blocco navale – laddove necessario – per la difesa degli interessi del popolo italiano. L’Italia non può limitarsi a considerare minacce solo i migranti e i jihadisti: non sono che conseguenze di un qualcosa di più profondo. Prigioniera di un’inefficace politica estera e di sicurezza, l’Italia è ancora in tempo a guardare con fiducia al futuro, impedendo che il caos avanzi oltre lo stretto di Sicilia. L’Italia assumi il ruolo di protagonista di sé stessa, dell’Ue e della NATO, iniziando a recuperare credibilità nel Mediterraneo. Se la vera tragedia è che all’opinione pubblica non interessa nulla, la colpa non è della gente bensì dell’incapacità dell’autorità politica di imporre obiettivi veri e dell’autorità militare di definire utili missioni, coerenti con le necessità strategiche dell’Italia e del suo popolo”.
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